Per trovare il tuo scopo... smetti di cercarlo

È tempo di superare il mito dello scopo come verità da trovare a tutti i costi. Lo scopo emerge nel tempo, dalle scelte coerenti e quotidiane. Vivi con "senso" e coerenza, senza l’ossessione di doverlo definire.

C’è un momento, nella vita professionale e personale, in cui ci si ritrova a fare le cose bene, con la consapevolezza che si sta agendo in modo efficace e corretto… ma a vuoto.
Una fase in cui tutto funziona, gli ingranaggi girano, le giornate sono piene — ma ti manca qualcosa che non si riesce a definire. Un periodo in cui riconosci che le cose vanno bene, ma hai la sensazione che siano vuote, prive di significato.

In quella situazione, di solito, arriva il consiglio che prima o poi tocca a ciascuno di noi: “Ti senti così perché devi trovare il tuo scopo, se non lo fai non ne uscirai”.

E allora, come conseguenza di questa osservazione, iniziamo a cercare.

Libri, podcast, video motivazionali, corsi, coaching. In momenti di decisioni più radicali, anche un cambio di carriera, un trasferimento, una pausa sabbatica, una nuova storia d'amore.
Cambiamo perché siamo spinti dalla necessità di rispondere a una domanda, ottenendo quella risposta che pare in grado di chiarire tutto: “Perché facciamo quello che facciamo?”

Il mito dello scopo come necessità di vita

Negli ultimi anni abbiamo mitizzato lo scopo come se fosse un’entità precisa, definibile e soprattutto permanente. Un “perché” inciso nella pietra, qualcosa da scoprire una volta per tutte e a cui votarsi con fede assoluta.

Ma la verità è più banale e, credo, anche più liberatoria.

Lo scopo non è (sempre) un’illuminazione. Trovarlo non significa provare quel senso di sollievo e di leggerezza che arriva quando termina la lunga ricerca di un oggetto che avevi smarrito. Non esclami "finalmente", quando ci arrivi.
È spesso un insieme di direzioni, più che una meta specifica. A volte si manifesta nel tempo, come risultato delle cose che fai, delle strade che prendi, delle battaglie che smetti di combattere e delle fatiche che accetti di fare anche quando nessuno ti guarda.

Trovare il proprio scopo è attraversare un percorso intimo e personale e – facendolo – accettare l'idea che potresti non arrivare mai alla fine e, quindi, non scoprirlo mai.

Alcuni anni fa ho affiancato in un percorso di coaching un manager che, dopo più di quindici anni in ruoli di rilievo all'interno di aziende importanti, ha cambiato settore perché “non sentiva più il senso di quello che faceva”. Ha lasciato con coraggio e un po' di inconsapevolezza una posizione ben pagata per lavorare in una piccola realtà che si occupa di formazione extracurricolare nelle scuole pubbliche.
Non perché avesse capito che questa era la sua “vocazione segreta”, ma perché ogni giorno usciva dall’ufficio con la sensazione che qualcosa stesse accadendo davvero. Ha fatto una scommessa e l'ha vinta.

Qualche tempo dopo ho lavorato con una freelance che, dopo anni a rincorrere clienti in ogni settore, ha deciso di lavorare solo con piccole imprese locali. Guadagna meno, probabilmente si stanca di più, non potrà rendere il suo business scalabile, ma la sera ha la sensazione di aver contribuito a qualcosa di reale e di più grande di se stessa (parole sue, che capisco benissimo). Nessun manifesto da stampare e appendere al muro: solo una coerenza silenziosa ma fondamentale tra ciò che sente di essere o di voler diventare e ciò che fa.

Lo scopo come "effetto collaterale"

In questi anni ho imparato a non cercare il mio scopo come fosse una briciola caduta tra i cuscini del divano.
Lo scopo non si trova, si costruisce. È una conseguenza, non un punto di arrivo. Succede mentre ti sporchi le mani, mentre dici di no a ciò che non ti somiglia più, mentre rimani fedele a un’intuizione anche quando non è né redditizia né popolare.

No, non arriva subito. E soprattutto: non arriva "tutto insieme".
Quando inizia a emergere, lo senti e senti anche chiaramente che c'è dell'altro. Allora, datti il tempo di scoprirlo. Non ti cambia la vita in un giorno, ma dà una direzione nuova a quello che già stai facendo.

Se ti senti sotto pressione perché ancora non hai capito qual è il tuo scopo, prova a sospendere la ricerca.
Farlo non significa arrendersi: significa offrire a se stessi un po' di tempo utile per guardare meglio quello che già c’è. Le cose che ti fanno alzare prima del necessario o che ti tengono sveglio più a lungo. Le conversazioni in cui ti perdi. I progetti in cui ti senti a casa. Le situazioni capaci di farti trovare energie da spendere anche quando sai di non averne più.

Negli ultimi anni ho iniziato a vedere il mio scopo non come una verità da scoprire, ma come una relazione che coltivo con le cose che mi muovono.

Quindi avere smesso di cercarlo è stato il modo migliore per iniziare davvero a trovarlo.

Lo scopo attuale della mia vita, da almeno due anni pieni ad oggi, è costruire serenità.
Sono consapevole che non si possa vivere “sempre sereni”, ma le decisioni che ho preso e che prendo giornalmente, quelle di grande impatto e quelle minori, sono comunque guidate da questa ambizione: vivere sereno.

Ovviamente, per me vivere sereno ha un significato e delle richieste: vivo serenamente se accade questo, questo e quest’altro, se questa situazione si realizza, se quest’altra rimane com'è, e così via.
So perfettamente che cosa mi serve affinché io possa vivere sereno. I criteri sono chiari ed è necessario che lo siano, altrimenti vivremmo in condizioni vaghe e tutto diventerebbe più complicato.

Partendo da questo principio, tutto ciò che devo fare è prendere decisioni coerenti:
questa scelta facilita la costruzione della mia serenità?
La ostacola?
La lascia com'è?

Come vedi, le domande sono semplici e quindi decidere diventa automaticamente altrettanto facile.

Resta fuori un solo caso: quando la risposta è "adesso non lo so."
Qui entra in gioco un altro fattore: in certe fasi sono disposto a rischiare, in altri no.
Se sono in un momento in cui è OK per me accettare un rischio – e non riesco o non posso prevedere l'impatto di una certa decisione sulla mia serenità futura – la prendo lo stesso.
Se invece non mi va di rischiare, decido per l'opposto o – al limite – la rimando.

Niente di più e niente di meno.
Per me ha funzionato e tu, come sempre, hai solo un modo per scoprire se per te è lo stesso.