Il lavoro non deve essere piacere

Ti piace il tuo lavoro? Parliamo di una domanda fuorviante e sbagliata nella sua logica. Sei pagato per lavorare: il piacere sta altrove e invece di cercare quello, puoi trovare nel lavoro soddisfazione.

Ti piace il tuo lavoro?

Parliamo di una domanda che - prima o poi - tutti noi ci poniamo. O a cui dobbiamo rispondere perché ci viene fatta da qualcuno. È improbabile, nel corso di una vita, riuscire ad eluderla.

Con il trascorrere degli anni mi sono reso conto che - più che una domanda - è una trappola, un presupposto da cui è importante uscire in fretta.

Credo che l'idea che al lavoro "debba" essere agganciato del piacere sia fuorviante e - in certi casi - anche un po' pericolosa.

Capisco, naturalmente, che la necessità di dedicare alle attività lavorative una consistente parte del nostro tempo ci porti all'esigenza di non trovare, perlomeno, queste attività eccessivamente stressanti, complicate, energivore o noiose.

Tuttavia, a volte mi trovo a dover chiedere alle persone con cui discuto di queste tematiche anche all'interno delle attività di coaching: ti sei mai chiesto perché sei pagato per lavorare?

La domanda conduce a una risposta potente, sicuramente soggettiva e quindi ne approfitto per dirti la mia: sei pagato per lavorare perché altrimenti non lo faresti.

Non ho ancora conosciuto persone che lavorino gratis. Ho conosciuto solo persone che - al limite - svolgono attività di volontariato che presuppongono un impegno libero dal compenso economico, ma il punto è che da tali attività traggono orgoglio, soddisfazione, senso di completezza e di contributo. Non sono pagate in denaro, lo sono emotivamente. Ma quello non è lavorare. È appunto fare volontariato.

Lavorare presuppone uno scambio inscindibile: il mio tempo e le mie competenze / abilità in cambio del tuo denaro. 

La mia capacità di eseguire una certa attività barattata con soldi. Stop.

Il piacere non c'entra niente.

Siamo pagati per lavorare perché ci sono e ci saranno sempre altre attività che possiamo svolgere se non lavoriamo che ci danno più piacere di quanto ne ricaviamo dal lavorare.

A qualcuno piace dormire fino a tardi, qualcun altro ama camminare nei boschi, c'è chi adora andare a pesca, chi farebbe sport tutto il giorno, chi ama leggere, chi vuole viaggiare... c'è un elenco infinito di cose che puoi fare al posto di lavorare e indovina un po'?

Quelle sì che sono attività che ti danno piacere.

Tu ci rinunci, e in cambio vieni pagato.

Puoi vedere il tuo essere retribuito come una sorta di risarcimento per il tempo e le energie che non puoi investire in altre azioni che ti darebbero piacere.

Pretendere che il lavoro ci piaccia è assurdo, è il classico volere sia l'uovo sia la gallina: voglio essere pagato, e intanto voglio fare qualcosa che farei anche se non lo fossi perché mi dà più piacere di tutte le alternative.

Vedi anche tu l'eccessiva pretesa?

Questo però non significa che l'atto di lavorare debba essere vissuto male, debba costarci per forza qualcosa e di certo non sto dicendo che dobbiamo trascinarci giorno dopo giorno nelle nostre attività fino a settant'anni.

Nel lavoro è assolutamente possibile, e anzi dovremmo applicarci fin dai primi anni di attività affinché diventi anche probabile, provare soddisfazione: quella che deriva dallo svolgere con diligenza, precisione e nei tempi concordati quanto sei chiamato a fare, quella che viene dall'idea di avere risolto un problema, quella che sentiamo quando riusciamo a creare qualcosa. Al limite, potremmo accordarci sul fatto che la soddisfazione è una forma di piacere, ma non andrei oltre.

Il consiglio che voglio lasciarti è smettere di cercare piacere nelle tue attività lavorative. Quello, è altrove.

Piuttosto cerca soddisfazione, orgoglio, compiacimento, riconoscenza: puoi provarne anche mentre lavori o a seguito di qualcosa che hai saputo fare bene.