Il vero problema è l'incertezza
Non siamo spaventati da ciò che può andare male, ma da quello che non riusciamo a prevedere.
Sto per prendermi un periodo di vacanza. Starò con la mia famiglia, spegnerò i dispositivi e mi dedicherò completamente a loro e a me stesso.
Come prima di ogni viaggio, naturalmente ho voluto dare uno sguardo alle previsioni meteo.
Nel luogo in cui vivremo nei prossimi giorni è riportato il simbolo del sole che spunta dietro le nuvole.
Viene indicata la probabilità di pioggia: è del 50%.
Mi sono quindi fermato a pensarci sopra e, come spesso accade, il ragionamento si è allargato.
Che cosa significa che pioverà al 50%? Significa che c'è una chance su due che piova in una determinata area durante il periodo di tempo specificato.Di conseguenza, c'è lo stesso livello di certezza che il tempo sia asciutto.In pratica è un'informazione inutile, quasi priva di significato.
Sarebbe molto meglio sapere che la probabilità di pioggia è, diciamo, dell'80%.
Questo dato ci permetterebbe di prendere decisioni consequenziali: spostare le gite in altro momento, cambiare zona, modificare l'abbigliamento da porre in valigia. Potremmo dire lo stesso se la probabilità fosse più bassa, magari del 20%. In questo caso, con ragionevole certezza, non ci attrezzeremmo per la pioggia, ingaggiando una facile scommessa.
Ecco che ho iniziato a pensare che tutto ciò che ci spaventa del futuro, che ci preoccupa o che ci infastidisce non ha a che fare con il bello o il brutto, ma con un altro fattore: non sapere.
È il non sapere che porta pensieri, stress, disorientamento.
Se qualcosa accadrà con una probabilità del 50%, che cosa dovremmo fare? Dovremmo prepararci comportandoci come se dovesse accadere oppure all'esatto contrario?
Quando ero piccolo, un giorno, il mio gatto è sparito. È uscito di casa una sera, è stato via tutta la notte e non è ritornato come era d'abitudine.
Non l'ho mai più rivisto. Ricordo bene, però, di averlo atteso per settimane e - in modo del tuo irragionevole - forse per più di un anno intero. Non esiste un momento in cui mi sia rassegnato, a meno che non vogliamo considerare che quel momento è oggi: ma sono trascorsi trentacinque anni da allora.
Qualche tempo dopo, quando ero già più grande, avevo un altro gatto di cui conservo un bel ricordo. Una sera, tornando a casa in auto, l'ho trovato purtroppo senza vita ai bordi del vialetto che portava a casa mia.
Me ne sono preso cura, l'ho avvolto in una coperta, l'ho seppellito e ovviamente quell'evento è stato per me spiacevole e triste. Ma il fatto che fosse morto mi ha permesso da subito di prendere coscienza di una condizione diversa rispetto a prima, di elaborarla e - dopo il giusto tempo - di non starci più male.
È stato decisamente peggio nel primo caso. Un continuo saliscendi di speranze bellissime che la realtà disattendeva, quasi senza fine (quando sarebbe dovuta essere la fine?)
L'evento è lo stesso: un gatto a cui volevo bene non c'era più. Ma il primo scenario è stato peggiore perché era incerto.
Ecco perché oggi noi siamo chiamati non certo a prepararci al peggio o a cercare di evitare che eventi non voluti non si verifichino. Accadranno comunque, è così per tutti. Ma siamo incaricati di combattere l'incertezza. Di muovere il più possibile gli eventi esterni con le nostre azioni affinché il margine di ciò che è sconosciuto e imprevedibile si riduca il più possibile.
Pensiamo a ciò che più conta nella vita delle persone. Non ci sbagliamo di molto se parliamo di salute fisica, benessere mentale, qualità delle relazioni, sicurezza economica.
Ridurre l'incertezza in questi quattro ambiti vuol dire alimentarsi correttamente, fare sport, allenare e rispettare la nostra mente, trascorrere tempo e prenderci cura di coloro a cui vogliamo bene, risparmiare denaro e investirlo.
Sono azioni concrete alla portata di tutti noi che non ci garantiscono un futuro sicuro e sereno, ma che spostano via il livello di certezza di ciò che potrebbe accadere dal punto peggiore: quello centrale. Quello in cui tutto è ugualmente probabile.
Facciamolo e non avremo eventi impossibili che ci attendono, ma almeno poco probabili. E questo, arrivati al punto in cui ci dovrà bastare, fa tutta la differenza del mondo.